Lo schema ABI e la nullità della fideiussione omnibus

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La questione relativa alla validità delle fideiussioni omnibus redatte secondo il modello ABI è da anni oggetto di contrasti giurisprudenziali.
Il testo dello schema contrattuale delle fideiussioni è stato condiviso nel 2002 dall’ABI – Associazione Bancaria Italiana con alcune organizzazioni di tutela dei consumatori mediante il modello denominato “Condizioni generali di contratto per fideiussioni bancarie”.
Tale schema è caratterizzato dalla clausola omnibus, in virtù della quale il fideiussore garantisce il debitore di una banca per tutte le obbligazioni presenti e future assunte nei confronti di una banca, ed è composto da 13 articoli, che definiscono: l’oggetto della garanzia (art. 1), gli obblighi del fideiussore (artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8 e 10), gli obblighi della banca (art. 5), le facoltà della banca (artt. 9, 11 e 12), le clausole non applicabili ai fideiussori che rivestono la qualità di consumatori ai sensi dell’art. 1469 bis, comma 2, c.c. e prestano garanzia a favore di soggetti aventi la medesima qualità (art. 13).

Nel corso dei primi anni duemila la Banca d’Italia, con funzioni di Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia bancaria (competenza che successivamente è stata affidata all’AGCM), ha avviato un’istruttoria per verificare se lo schema contrattuale predisposto dall’ABI potesse rappresentare un’intesa restrittiva della concorrenza. Al termine dell’istruttoria, con il provvedimento n. 55/2005 è stato ritenuto che tre clausole dello schema non presentassero elementi funzionali a garantire l’accesso al credito bancario ma avrebbero avuto lo scopo precipuo di ribaltare sul fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa. In altre parole, la Banca d’Italia ha accertato che le banche aderenti all’ABI avrebbero realizzato un’intesa anticoncorrenziale vietata.
Nello specifico le tre clausole censurate sono le seguenti:

  • “clausola di reviviscenza”, secondo cui “il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi o per qualsiasi altro motivo” (art. 2 dello schema ABI);
  • “clausola di sopravvivenza” in virtù della quale si prevede la sopravvivenza della fideiussione qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide (art. 6 dello schema ABI);
  • “clausola di deroga”, mediante cui il debitore rinuncia al termine di decadenza disposto in suo favore dall’art. 1957, comma 1, c.c., ai sensi del quale la banca deve agire contro il debitore entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale (art. 8 dello schema ABI).

Il modello attribuiva quindi indebiti vantaggi alle singole banche e sfavoriva il cliente che doveva sottostare a pattuizioni vessatorie in violazione dell’art. 2, comma 3, L. 287/1990.
Nel provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 è stato precisato che le clausole censurate non perseguirebbero lo scopo di garantire una particolare tutela del credito bancario, ma potrebbero risultare anticoncorrenziali laddove inducessero a una completa uniformità dei comportamenti delle banche in senso ingiustificatamente sfavorevole alla clientela.

Tuttavia, le banche, nonostante il provvedimento della Banca d’Italia, hanno continuato ad inserire nei contratti di fideiussione le clausole illecite sino alla sentenza della Corte di Cassazione n. 29810/2017.
Tale pronuncia ha determinato un mutamento dello scenario poiché ha rammentato l’esistenza del provvedimento di Banca d’Italia del 2005.
In molti hanno ritenuto che la Cassazione avesse sostanzialmente concluso per la nullità integrale delle fideiussioni conformi allo schema ABI, ma nel tempo la giurisprudenza ha espresso diversi e contrastanti orientamenti.
Il primo esclude qualsiasi ripercussione dell’intesa illecita “a monte” sulla validità del contratto “a valle” che ne costituisce attuazione ed in ragione di ciò la parte che si assume lesa dalla condotta anticoncorrenziale potrebbe beneficiare unicamente della tutela risarcitoria (di recente ribadito dalla pronuncia Cass. Civ. 26/09/2019, n. 24044).
Un diverso (e minoritario) orientamento estende l’invalidità derivata dall’intesa illecita all’intero contratto a valle (cfr. Corte d’Appello di Bari, n. 45 del 15/01/2020).
Un terzo orientamento (oggi divenuto maggioritario) ritiene che si verifichi una nullità relativa, limitata alle sole tre clausole espressione dell’intesa illecita (cfr. Tribunale di Milano, sentenza n. 610 del 23/01/2020).
È possibile poi riscontrare un’ulteriore posizione che giunge ad escludere radicalmente la possibilità di applicare la normativa antitrust alle fideiussioni conformi allo schema ABI (cfr. Tribunale di Verona, sentenza del 6/10/2020).

La giurisprudenza è in continua evoluzione e la sorte dei contratti che riproducono lo schema ABI è differente a seconda del Giudice chiamato ad esprimersi.
Sarebbe quindi auspicabile un intervento delle Sezioni Unite che potrebbe contribuire a riportare chiarezza considerato l’attuale ampio e variegato dibattito giurisprudenziale.

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