Il patto di prova è una clausola accessoria del contratto di lavoro con la quale si può prevedere la possibilità di recedere anticipatamente, senza obbligo di preavviso o di indennità o di motivazione.
La clausola viene inserita per consentire al lavoratore ed al datore di lavoro la valutazione della reciproca convenienza dell’instaurando rapporto. Durante il periodo di prova il datore ha la possibilità di valutare le capacità e le competenze del lavoratore, mentre quest’ultimo può valutare l’ambiente aziendale e scegliere se proseguirvi la propria attività (anche se in concreto il patto di prova serve soprattutto al datore di lavoro per verificare l’effettiva idoneità del lavoratore prima di procedere alla sua definitiva conferma).
Come previsto dall’art. 2096 c.c., il patto di prova deve avere la forma scritta e deve avvenire in un momento antecedente o al massimo contestuale rispetto alla conclusione del contratto di lavoro. Devono essere indicate con precisione le mansioni affidate al lavoratore, il ruolo che andrà a ricoprire, nonché la durata della prova e tale periodo deve essere svolto in maniera effettiva.
Il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, ha natura discrezionale e non deve essere motivato anche in caso di contestazione circa la valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore (la discrezionalità del datore di lavoro nel decidere se interrompere il rapporto non può però corrispondere ad un mero arbitrio). In caso di contestazioni, dovrà essere il lavoratore a dover fornire dimostrazione sia del positivo superamento del periodo di prova quanto che il recesso sia stato determinato da un motivo illecito ed estraneo alla funzione del patto di prova.
È nullo il patto di prova sottoscritto fra due soggetti già precedentemente coinvolti in un rapporto di lavoro poiché si presume che il datore sia già venuto a conoscenza delle qualità e delle attitudini lavorative del prestatore in prova: “In caso di identità delle mansioni svolte nell’ambito di precedenti rapporti di lavoro a termine, il patto di prova previsto in un contratto a tempo indeterminato successivamente stipulato con lo stesso datore di lavoro è nullo” (Cass. n. 6633/2020).
La ripetizione del patto di prova è ritenuta ammissibile solo qualora l’imprenditore, pur avendo già verificato le qualità professionali del lavoratore, abbia interesse a valutarne anche il suo comportamento e la sua personalità in relazione all’adempimento della prestazione, trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo.
La Corte di Cassazione ha affermato l’ammissibilità della ripetizione del patto di prova in successivi contratti di lavoro col medesimo datore e per le stesse mansioni, quando sia dimostrata l’esigenza dell’imprenditore di verificare ulteriormente il comportamento del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, in conseguenza di mutamenti che possano essere intervenuti nel frattempo per molteplici fattori sopravvenuti di tipo personale, come le abitudini di vita o i problemi di salute, nonché di tipo lavorativo come le modifiche organizzative e/o tecnologiche dei processi produttivi (cfr. Cass. n. 22809/2019, la verifica ulteriore del comportamento del lavoratore deve, però, essere rilevante ai fini dell’adempimento della prestazione).
Al di là di queste ipotesi, la reiterazione del patto di prova, come detto, è nulla e travolge anche l’ipotetico licenziamento per mancato superamento del patto stesso.