L’istruttoria nel processo del lavoro si contraddistingue per l’ampiezza dei poteri attribuiti al giudice.
L’art. 421 c.p.c. consente al giudice del lavoro di:
– indicare alle parti, in qualsiasi momento, le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate e assegna, di conseguenza, un termine per provvedervi. Se il giudice rileva che gli atti ed i documenti presentano delle irregolarità che possono essere sanate, ne informa le parti, assegnando loro un termine per provvedervi, ad eccezione di irregolarità relative a diritti quesiti;
– disporre in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche se si tratta di prove dalle quali le parti siano decadute ed anche senza il rispetto dei limiti stabiliti dal codice civile tranne che per il giuramento decisorio, il quale può essere deferito su iniziativa delle parti, e dell’accesso sul luogo del lavoro;
– disporre, ove lo ritenga necessario, la comparizione personale delle persone di cui, ai sensi degli artt. 246 e 247 c.p.c., non può essere disposto l’interrogatorio libero sui fatti di causa, in quanto non potrebbero essere assunte quali testimoni.
Nel rito del lavoro, il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti non osta all’ammissione d’ufficio delle prove, trattandosi di potere diretto a fugare i dubbi rimasti in seguito all’espletamento delle istanze istruttorie ritualmente acquisite. Ne consegue che, essendo la “prova nuova” disposta d’ufficio funzionale al solo indispensabile approfondimento degli elementi già obbiettivamente presenti nel processo, non si pone una questione di preclusione o decadenza processale a carico della parte.
A tal proposito la Cassazione ha precisato che: “allorquando ricorrono i presupposti per l’esercizio dei poteri istruttori del giudice del lavoro, essi possono e devono essere utilizzati a prescindere dal maturare di preclusioni in capo alle parti in causa (Cass. 10 dicembre 2008, n. 29006 e, più di recente, Cass. 25 agosto 2020, n. 17683); presupposti dell’esercizio di tale potere-dovere sono, altrettanto pacificamente, la ricorrenza di una semiplena probatio rispetto ad una data situazione controversa e l’individuazione ex actis di una pista probatoria (da ultimo v. Cass. 10 settembre 2019, n. 22628; Cass. 5 novembre 2018, n. 28134), che ben può essere costituita dal riferirsi di alcuni testimoni, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, secondo un’ipotesi già prevista in generale dal codice di rito (art. 257, co. 1, c.p.c.), ma che, nel ricorrere dei requisiti di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c., resta assorbita” (Cass. 26597/2020).
Il giudice può quindi ricorrere ai poteri istruttori d’ufficio ex art. 421 c.p.c. quando:
- la parte non sia incorsa in una preclusione a causa della sua colpevole inerzia processuale (ad es. a causa della tardività della richiesta istruttoria);
- sussista l’opportunità di integrare il quadro probatorio già tempestivamente delineato dalle parti e, quindi, di colmare eventuali lacune;
- l’iniziativa dell’ufficio sia indispensabile e non volta a supplire alle carenze probatorie delle parti.
Malgrado i poteri che vengono riconosciuti al giudice, è pacifico che la norma in esame non deroghi al principio della domanda ed all’onere di allegazione dei fatti rilevanti che incombe sulle parti (alle quali soltanto compete il potere di determinare il tema della lite); la norma in esame, infatti, incide solo sull’iniziativa probatoria, che fa capo anche al giudice oltre che alle parti. L’esercizio del potere d’ufficio del giudice è possibile e doveroso solo allorquando si sia in presenza di allegazioni e di un quadro probatorio che, pur delineati dalle parti, presentino incertezze.
Il giudice deve esplicitare le ragioni per le quali ritiene di utilizzare i poteri istruttori d’ufficio oppure, nonostante l’esplicita richiesta delle parti, ritiene di non avvalersene.
I poteri istruttori ufficiosi del Giudice, di cui all’art. 421 c.p.c., non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così dal porre il Giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime, poiché con tale norma si è inteso affermare, che è caratteristica precipua di tale rito speciale, il contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale, cosicché allorquando le risultanze di causa offrano già significativi dati di indagine, il Giudice ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere di Ufficio agli atti di istruzione la cui esigenza nasca da quanto già ritualmente acquisito, atti istruttori idonei a superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei diritti di cui si verte.
Non va oltre l’ambito dei suoi poteri il giudice del lavoro che ascoltando un teste in una controversia in cui si assume che una persona abbia svolto lavoro subordinato alle dipendenze di altra persona, gli chieda di precisare l’orario di lavoro, le mansioni svolte e in quale posizione materiale la prestazione veniva effettuata. Tanto più se al ricorso sono stati allegati conteggi elaborati su un dato orario di lavoro e date mansioni e se controparte ha contestato, oltre che la natura subordinata del rapporto, anche specificamente lo svolgimento di un orario a tempo pieno.
I poteri previsti dall’art. 421 c.p.c. sicuramente consentono, se non impongono, tali domande (cfr. Cass. 9823/2021).
Il Giudice del Lavoro può anche chiedere alle associazioni sindacali indicate negli atti, su istanza di parte o d’ufficio, informazioni e osservazioni orali o scritte. Le informazioni fornite non possono però considerarsi come dei veri e propri mezzi istruttori, ma concorrono alla formazione del convincimento del giudice.