https://www.opendotcom.it/buste-paga/blog/le-rinunzie-e-le-transazioni-nel-diritto-del-lavoro/15181
Con il termine rinunzie ci si riferisce a quegli atti unilaterali recettizi con i quali i lavoratori rinunciano ad alcuni dei loro diritti, mentre le transazioni sono quei contratti con i quali i lavoratori ed i datori di lavoro pongono fine a una lite attuale o ne prevengono una potenziale facendosi reciproche concessioni.
Il lavoratore è protetto dalla legge qualora sottoscriva una rinunzia ai suoi diritti o una transazione. Infatti, potrebbe subire sia il timore di ritorsioni da parte del datore, sia non avere la piena conoscenza delle norme di legge e quindi la piena consapevolezza dei propri diritti. La legge quindi intende tutelarlo con quanto previsto dall’art. 2113 c.c.Il legislatore ha infatti stabilito che le rinunce e transazioni in materia di lavoro che hanno per oggetto diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o degli accordi collettivi non sono valide, tranne nei casi in cui siano contenute nei verbali di conciliazione da sottoscrivere:
- dinanzi alla commissione di conciliazione istituita presso la direzione territoriale del lavoro);
- dinanzi la commissione di conciliazione istituita in sede sindacale;
- in sede giudiziale;
- presso i collegi di conciliazione ed arbitrato irrituale.
In questi casi viene meno l’esigenza di tutela del lavoratore, trattandosi di ipotesi in cui la posizione del lavoratore è sufficientemente protetta nei confronti del datore di lavoro.
L’assistenza sindacale deve però essere effettiva. I sindacati, cioè, devono avere un ruolo di effettiva assistenza. L’intervento del terzo deve essere idoneo a sottrarre il lavoratore dalla condizione di soggezione nei confronti del datore di lavoro.
La regola contenuta nell’art. 2113 c.c. non prevede un’indisponibilità assoluta del diritto di fonte inderogabile, quanto, piuttosto, un’indisponibilità relativa.
In tale norma, infatti, si prevede che le rinunzie e le transazioni invalide devono essere impugnate entro sei mesi, ciò a pena di decadenza. L’impugnazione deve avvenire entro sei mesi decorrenti dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, se l’atto di disposizione è avvenuto nel corso del rapporto di lavoro, oppure dalla data in cui è stato firmato l’atto, se quest’ultimo è intervenuto dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Pertanto i diritti di fonte inderogabile sono caratterizzati da una disponibilità condizionata alla mancata impugnazione della rinuncia o della transazione.
La disciplina dettata dall’art. 2113 c.c., poi, non trova applicazione con riferimento ai negozi estintivi del rapporto di lavoro, come le dimissioni, le risoluzioni contrattuali e le rinunce ad impugnare un licenziamento.
Quando il legislatore sancisce l’invalidità delle rinunzie e delle transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili di fonte legislativa o collettiva non qualifica di quale tipo di invalidità si tratti. In dottrina, è però ormai pacifico che ci si trovi di fronte ad un’ipotesi di annullabilità. In ragione di ciò, pur se dopo che sia intervenuta nei termini l’impugnazione stragiudiziale, l’azione giudiziale può essere proposta nel termine di prescrizione quinquennale.