Accade ancora molto spesso che l’Agenzia delle Entrate ritenga che il Curatore dell’Eredità Giacente sia soggetto impositivo e chieda, in via solidale, il pagamento dell’imposta di successione.
La curatela dell’eredità giacente è un istituto essenziale per la gestione transitoria del patrimonio di un soggetto defunto quando non vi è un erede immediatamente individuabile o anche solo disponibile ad accettare l’eredità.
Il curatore ha il compito di tutelare i beni ereditari fino a quando un erede legittimo non avrà accettato l’eredità, o, in assenza di eredi, fino alla devoluzione dei beni allo Stato.
L’Agenzia delle Entrate e l’imposta di successione
Nonostante i limiti ben chiari dei poteri del curatore dell’eredità giacente, l’Agenzia delle Entrate ha sollevato più volte la questione della sua presunta responsabilità solidale per il pagamento dell’imposta di successione. Con la risposta all’interpello n. 587 del 15/09/2021, l’ente impositore ha sostenuto che il curatore sia tenuto al pagamento dell’imposta di successione ai sensi dell’art. 36 del Testo Unico delle Successioni (D.Lgs. n. 346/1990), che prevede una responsabilità solidale tra gli eredi e gli altri soggetti chiamati all’amministrazione del patrimonio ereditario.
L’imposta di successione, in base al citato articolo, deve essere corrisposta dagli eredi in proporzione alla quota di eredità loro spettante.
Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha tentato (e continua a tentare) di estendere questo obbligo anche al curatore, ritenendolo solidalmente responsabile nei limiti del valore dei beni ereditari gestiti.
La giurisprudenza tributaria
L’interpretazione dell’amministrazione ha trovato numerose confutazioni in sede giudiziaria.
La giurisprudenza delle Commissioni Tributarie ha, infatti, più volte stabilito che il curatore non può essere ritenuto personalmente responsabile per il pagamento dell’imposta di successione.
Tra le sentenze più recenti in tal senso vi sono quelle della CTP Milano (n. 2854/2024), della CTP Taranto (n. 1075/2024), della CTP di Torino (n. 355/2024) che hanno respinto le pretese dell’Amministrazione finanziaria.
Uno dei ragionamenti principali adottati dai giudici per escludere la responsabilità del curatore si basa sul principio che questi non è un possessore dei beni ereditari, bensì unicamente un detentore. La distinzione tra detenzione e possesso è fondamentale.
Il possesso implica un potere sulla cosa esercitato a titolo di proprietà o di altro diritto reale (art. 1140 c.c.), mentre la detenzione rappresenta una situazione di fatto in cui il soggetto ha la mera disponibilità materiale dei beni per conto di un terzo.
Pertanto, il curatore non può essere considerato soggetto passivo dell’imposta di successione, in quanto non esercita un potere sulla cosa a titolo di possesso, ma procede come mero amministratore temporaneo del patrimonio.
Il principio di capacità contributiva
Il principio della capacità contributiva previsto dall’art. 53 della Costituzione, rappresenta un’ulteriore dimostrazione a favore della non responsabilità del curatore. La menzionata norma stabilisce che ogni cittadino è tenuto a contribuire alle spese pubbliche in base alla propria capacità economica.
Poiché il curatore non trae alcun privilegio economico personale dalla gestione dei beni ereditari e non può disporre liberamente del patrimonio, non è soggetto passivo di obblighi fiscali relativi all’eredità, inclusa l’imposta di successione.
Costringere il curatore a pagare l’imposta di successione con fondi propri equivarrebbe a violare tale principio, gravando un soggetto che non ha un interesse patrimoniale diretto nell’eredità con un obbligo che dovrebbe spettare agli eredi o allo Stato.
Le Commissioni Tributarie, sia provinciali che regionali, hanno avuto modo di ribadire che l’Amministrazione finanziaria non può esigere dal curatore il pagamento anticipato dell’imposta di successione.
Il curatore può rispondere del pagamento solo nei limiti del valore dei beni ereditari e solo dopo la loro liquidazione.
È consolidato l’orientamento giurisprudenziale favorevole al curatore e che limita le richieste dell’Agenzia delle Entrate.
L’adempimento dell’obbligo tributario da parte dell’erede
Giova precisare che il soggetto effettivamente obbligato al pagamento dell’imposta di successione è l’erede, una volta accettata l’eredità.
L’accettazione dell’eredità comporta, infatti, l’assunzione di tutti i diritti e gli obblighi relativi ai beni ereditari, compreso il pagamento delle imposte dovute.
Nel caso in cui l’eredità venga devoluta allo Stato, sarà quest’ultimo a divenire l’obbligato per il pagamento dell’imposta.
L’accoglimento della tesi dell’Agenzia delle Entrate comporterebbe evidenti distorsioni, difficilmente compatibili con la ratio sottesa all’istituto della curatela. Anche l’interpretazione letterale delle norme supporta tale ragionamento: l’art. 28 del TUS elenca tra i soggetti obbligati a presentare la dichiarazione di successione i curatori dell’eredità giacente, mentre l’art. 36 non include il Curatore tra i soggetti tenuti al versamento dell’imposta di successione. Ne consegue che, se il Legislatore avesse voluto prescrivere tale obbligo anche ai curatori, lo avrebbe fatto in maniera esplicita.
Dall’esame dell’art. 1 del TUS (Testo Unico delle Successioni), che definisce l’imposta di successione come un prelievo applicabile “ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte”, e dell’art. 5 del TUS, che stabilisce che l’imposta è dovuta “dagli eredi e dai legatari”, si deduce che il presupposto del tributo è l’incremento patrimoniale degli eredi o dei legatari. Questo elemento, però, manca nella curatela dell’eredità giacente, poiché tra la data di apertura della successione e quella del reale trasferimento dei beni ereditari non si verifica alcun arricchimento dei chiamati né un trasferimento dell’eredità nella sfera patrimoniale del soggetto Curatore.
Qualora venisse accolta la tesi dell’Amministrazione Finanziaria si correrebbe il rischio di scoraggiare chiunque dal proporsi quale curatore di eredità giacente, basti considerare che l’imposta di successione applicata è pari all’8%, poiché la Curatela è considerata soggetto “estraneo”.
Conclusioni
Qualsiasi pretesa di anticipazione delle imposte da parte del curatore è infondata e contraria ai principi costituzionali e civilistici che regolano l’istituto della curatela.
Il curatore dell’eredità giacente non può essere considerato responsabile del pagamento dell’imposta di successione oltre il valore dei beni ereditari gestiti.
Solo con la liquidazione del patrimonio, e nei limiti di esso, l’obbligo tributario potrà essere soddisfatto.
La giurisprudenza tributaria ha più volte ribadito che l’Amministrazione finanziaria non può esigere il pagamento anticipato dell’imposta di successione dal curatore, che, agendo come mero detentore e amministratore dei beni, non assume una responsabilità personale per tali obblighi fiscali.
Sarebbe quindi auspicabile che l’Agenzia delle Entrate riveda la propria posizione espressa nella risposta all’interpello n. 587/2021 ed abbandoni definitivamente la tesi ivi sostenuta.
In caso contrario, si rischierebbe di travisare la volontà del Legislatore sia in tema di capacità contributiva, con riferimento specifico all’imposta di successione, sia in materia civilistica, riguardo all’istituto del possesso.
Nonostante tra i principali obblighi fiscali imposti al Curatore vi sia quello di presentare la dichiarazione di successione, indispensabile per consentirgli l’amministrazione corretta del patrimonio ereditario (ad esempio per accedere ai conti correnti del defunto o sbloccare valori detenuti presso istituti bancari), tale obbligo non include il pagamento dell’imposta di successione.
In caso contrario, il Curatore sarebbe costretto a rispondere personalmente, anche anticipando il pagamento dell’imposta con proprie risorse, soprattutto qualora il patrimonio ereditario fosse privo di liquidità o fosse costituito prevalentemente da beni immobili o investimenti illiquidi.